Beata Vittoria Rasoamanarivo Vedova e principessa del Madagascar

La beata Vittoria Rasoamanarivo, nacque nel 1848 a Tananarive nella grande Isola del Madagascar, appartenente ad una delle più potenti famiglie degli Hovas; suo nonno materno, fu primo ministro per oltre venti anni della regina Ranavalona (1832-1852) e lei era sorella di Rainilaiarivony, il quale ricoprì la stessa carica per più di 30 anni dal 1864 al 1895.
Secondo le usanze del paese, fu adottata dal fratello maggiore del padre, del quale si sa ben poco, né quando morì; lo zio Rainimaharavo era comandante generale dell’esercito malgascio.
Rasoamanarivo (questo il suo nome originario) crebbe ricevendo, specie dalla madre, una ottima educazione morale e seguì in gioventù la religione idolatrica dei suoi antenati. Ma quando nel Madagascar giunsero alcuni missionari gesuiti francesi, che si stabilirono a Tananarive, seguiti in breve dalle Suore della Congregazione di S. Giuseppe di Cluny, Rasoamanarivo fu tra le prime ragazze ad essere iscritta nella loro scuola, aperta dalla Missione.
L’esempio di vita santa e piena di sacrifici dei padri e delle suore, la colpì profondamente e dopo aver appreso l’insegnamento della religione cattolica, sebbene tredicenne, chiese di essere ricevuta nella Chiesa; venne battezzata il 1° novembre 1863 con il nome di Vittoria, quasi a presagio delle dure lotte che avrebbe dovuto sostenere.
Il Madagascar a quell’epoca subiva l’influenza coloniale della Francia, questo provocava scontento e tumulti, quando
il re Radama II, ritenuto troppo amico della Francia, fu allontanato, si scatenò una persecuzione più o meno aperta contro la Missione cattolica, che a causa della nazionalità francese dei missionari, fu ritenuta affine agli interessi coloniali della Francia.
Vittoria dovette subire le insistenze del suo padre adottivo, che cercava di convincerla a lasciare la fede cattolica e ritornare agli dei pagani, al massimo di abbracciare la fede anglicana, che a quel tempo era ben radicata nel Madagascar, fra l’altro appoggiata dal nuovo governo per motivi politici.
Ma lei non cedette né con le minacce, né con le sofferenze inflittale, finché i familiari desistettero dalle pressioni. I missionari, di fronte a questa situazione, sconsigliarono Vittoria di insistere nel suo desiderio di consacrarsi interamente a Dio, ritenendo più opportuno che continuasse nell’ambito della famiglia e della corte reale, a svolgere il suo apostolato.
Secondo le usanze allora vigenti nel Madagascar, Vittoria fu data in sposa ad un giovane alto ufficiale dell’esercito e figlio del primo ministro, il suo nome era Radriaka, Vittoria volle che le nozze venissero celebrate il 13 maggio 1864,
alla presenza di un sacerdote cattolico.
La vita matrimoniale non fu felice, il marito era un uomo dissoluto, schiavo dell’alcool e delle passioni, dava così grande scandalo che i suoi stessi genitori consigliarono a Vittoria di divorziare; ma lei conscia dell’indissolubilità e santità del matrimonio e certa dello scandalo che ne sarebbe derivato nell’opinione pubblica, se una principessa cattolica avesse divorziato, decise di sopportare tutto rimanendogli fedele fino alla morte di lui, avvenuta per i suoi vizi nel 1887.
Nel tempo, acquistò agli occhi della corte e di tutto il popolo, una stima incondizionata, ammirata per la sua vita cristiana esemplare; fu per questa generale autorità morale conquistatosi, che divenne il provvidenziale sostegno della Chiesa Cattolica in Madagascar; quando il 25 maggio 1883 scoppiò una nuova persecuzione, dopo che erano stati espulsi tutti i missionari francesi, e i fedeli cattolici vennero accusati come traditori delle usanze dell’Isola e quindi della loro patria.
Vittoria continuò a professare la sua fede apertamente, si fece protettrice della Chiesa difendendola continuamente presso la regina e il potente Primo Ministro, insistendo che le chiese e le scuole cattoliche, rimanessero aperte, incoraggiava i cattolici con
messaggeri o recandosi personalmente nei villaggi vicini.
Divenne secondo l’espressione malgascia: “Padre e Madre” dei fedeli e la colonna della Chiesa, che era privata in quel tempo dei suoi pastori; così quando nel 1886 i missionari poterono ritornare, non trovarono rovine, ma una comunità cattolica fiorente e vigorosa, tutto per suo merito.
Se la sua posizione sociale l’aiutò molto, il segreto della riuscita si trova nella sua santità e nel carisma spirituale che da essa emanava; donna di profonda preghiera, trascorreva in chiesa anche sei o sette ore al giorno, a volte fino a notte inoltrata; si dedicò ad innumerevoli opere di carità in favore di poveri, prigionieri, abbandonati, lebbrosi.
Ebbe a soffrire di varie malattie, sopportate con grande pazienza, morì il 21 agosto 1894 a 46 anni, tra lo sconforto generale del popolo malgascio. Pur non avendolo desiderato, ella fu trionfalmente sepolta nel mausoleo dei suoi antenati a Tananarive.
La causa per la sua beatificazione, fu iniziata solo il 14 gennaio 1932, per circostanze indipendenti dall’intera vicenda. È stata beatificata da papa Giovanni Paolo II il 29 aprile 1989, ad Antananarivo in Madagascar.

Autore: Antonio Borrelli

Immagini collegate: