http://www.iodonna.it/attualita/primo-piano/2013/madagascar-bambini-lavorano-no-scuola-401743118645.shtml
Reggono l’economia dell’isola africana. Fanno i mandriani, i contadini, gli spaccapietre. Cercano lo zaffiro in cunicoli trappola. Diventano carne da macello nei mercati del sesso. La gallery
di Michele Focarete – 5 novembre 2013
foto di Jean-Luc Bertini
Alle 18 in punto il sole crolla di botto e nella capitale Antananarivo si respira aria di coprifuoco. I malgasci abbandonano le strade e i turisti non si muovono più dagli alberghi. Fuori c’è il rischio di essere aggrediti e rapinati. Girano bande strane. Qualcuno dice che sono organizzate dall’opposizione per creare disordine. Per giustificare un eventuale cambio di rotta alle elezioni, mentre si attende l’imminente secondo turno delle presidenziali. Alle 6 del mattino il sole è già alto e tutto torna nella norma.
La route circulaire, oltre tre chilometri di auto e mezzi obsoleti d’ogni tipo perennemente incolonnati, è già nel caos. È l’unica via importante che attraversa la città e sfiora il palazzo de la Reine. Su e giù, a 1.400 metri di altitudine. Tutt’intorno sconfinate risaie, già piene di uomini e donne con la schiena piegata. Ma anche smilzi zebù e bambini. Tanti bambini che non piangono mai e ne avrebbero di lacrime da versare. L’impatto è forte. Odori, colori, persone sempre affaccendate per la strada, e occhi puntati sui vasah bianchi. Un agglomerato di tre milioni di abitanti. Palazzi e catapecchie. Hotel e stamberghe. E volti segnati dal tempo. Con bambini ovunque. In Madagascar la scuola fino a 14 anni è d’obbligo, ma sono pochi quelli che la frequentano.
Il 32 per cento della popolazione (23 milioni di abitanti) sono giovani che hanno da 10 a 24 anni. I bambini che hanno meno di 10 anni rappresentano il 20 per cento.
«L’educazione è la via per il futuro della nazione» spiega Hanitra Rakotonavalona, presidente dell’associazione Fiara che si occupa di sviluppare socialmente, economicamente e culturalmente i malgasci. «In questa epoca dove la tecnologia è dominante, nessuno può negare l’importanza dell’educazione. La scuola, tra l’altro, offre al bambino l’opportunità di socializzare, emancipandolo da certi contesti famigliari». Da una parte c’è l’obbligo della scuola, ma dall’altra le aule sono deserte. Fulanha ha 11 anni, sa dire come si chiama e sa fare i conti. Giusto per muoversi sulla spiaggia di Foulpointe, sull’oceano Indiano, a 60 km a nord di Tamatav, dove arrivano i villeggianti. Fulanha vende collier fatti di semi e vive con la madre contadina. È la più grande di quattro fratelli. A casa non ci sono soldi e si mangia quando si può. «Se mia figlia si mettesse a studiare, poi potrebbe andare a lavorare in città e abbandonare la terra. Lei mi serve qui, anche per accudire lo zebù».
In Madagascar i bambini fanno di tutto: i mandriani, i contadini, curano i polli, fabbricano i mattoni che poi consegnano in panieri portati sulla testa. Rompono le pietre per un euro ogni metro e mezzo cubo, raccolgono la sabbia nei fiumi, scavano e molti muoiono per recuperare, in cunicoli grandi come tane di volpi, zaffiri per le multinazionali thailandesi. Tutti i soldi che guadagnano, fino all’ultimo aryar (poco più di 2.500 arya sono l’equivalente di un euro), finiscono nelle tasche dei genitori. E sono sempre i bambini che vedi nelle città a vendere giornali, a chiedere l’elemosina, a raccogliere i rifiuti nei cassonetti.